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Inflazione: cercare protezione nelle valute emergenti
La fiammata dell’inflazione non è una cosa buona per chi investe in bond. Gli investitori, però, possono proteggersi da questo rischio puntando sulle valute dei mercati emergenti. Lo sostengono gli esperti, secondo cui sono da seguire i Paesi esportatori di commodity, come Russia e Sudafrica.
L’impennata registrata dall’inflazione a livello mondiale non è una buona notizia per gli investitori obbligazionisti, impegnati oggi a cercare il modo migliore per proteggersi da questo rischio. Uno di questi, secondo Ken Orchard, gestore del fondo T. Rowe Price Funds SICAV - Diversified Income Bond, sono le valute dei Paesi emergenti, in particolare di quelli che esportano risorse. Un’opzione che, spiega l’esperto, può migliorare i rendimenti dei portafogli obbligazionari durante i periodi di inflazione, indipendentemente dal fatto che i tassi reali siano in calo o in aumento. L’analisi si basa sulle molteplici cause che hanno provocato durante lo scorso anno la fiammata dei prezzi.
Cosa c’è dietro la fiammata dei prezzi
A monte di questi fattori scatenanti c’è la pandemia, che ha determinato una crisi a livello economico e sociale. A cascata, infatti, sono giunte la politica monetaria accomodante delle Banche centrali per ridare impulso alla crescita e le disruption alle catene di approvvigionamento dovute ai lockdown (che hanno colpito a più livelli la produzione). La miccia, infine, è stata accesa dalle tensioni con la Russia sul gasdotto Nord Stream 2 e il conseguente aumento dei prezzi dell'energia. Problemi che si sono aggiunti alle difficoltà di stoccaggio del gas naturale, alla contestuale accelerazione dei corsi petroliferi e alla speculazione che si è concentrata sul settore alimentare.
I livelli record raggiunti dall’inflazione
Il quadro non è quindi dei più incoraggianti. Nell’area Ocse, in novembre, l'inflazione è salita al 5,8% dal 5,2% di ottobre, toccando così il nuovo massimo da 25 anni a questa parte (maggio 1996). L'accelerazione è stata particolarmente pronunciata negli Stati Uniti, dove si è attestata al 6,8%, nuovo record dal giugno 1982 (il massimo precedente era 6,3% nel 1990).
Contestualmente nell’Eurozona l'inflazione ha registrato una tendenza al rialzo e ha raggiunto a dicembre un massimo pluridecennale del 4,9% (che si confronta con -0,3% dell’anno precedente). La spinta, secondo l’Ocse, è arrivata soprattutto dal comparto energetico, dove i prezzi sono schizzati in dicembre del 27,7%, top dal giugno 1980.
Meglio una gestione creativa per il portafoglio obbligazionario
Questo scenario ha aumentato la pressione sulle Banche centrali verso una stretta della politica monetaria, cosa che rappresenta un problema per gli obbligazionisti. Allo stesso tempo, le disruption legate alla pandemia e l'incertezza causata dal trend dei prezzi costituiscono un problema per la crescita economica. Per questo mix di fattori, ovvero una crescita lenta abbinata a un'inflazione persistente, si esige - secondo Orchard - un approccio creativo alla gestione del portafoglio obbligazionario. Agli strumenti suggeriti in precedenza (bond legati all'inflazione, credito diversificato su più aree geografiche e gestione attiva della duration) il gestore ora ne aggiunge un altro: le valute dei mercati emergenti.
Il rincaro delle commodity favorisce i Paesi esportatori
Le valute emergenti, in particolare quelle dei Paesi che esportano molte materie prime (come la Russia e il Sudafrica), hanno avuto infatti la tendenza a sovraperformare durante i periodi di inflazione, in quanto beneficiano dell'aumento dei prezzi delle materie prime e del maggiore potenziale di crescita dei mercati emergenti. Senza contare che, queste, hanno anche ottenuto buoni risultati nei periodi con aspettative di inflazione in aumento e tassi reali in aumento. Secondo Orchard è importante non perdere mai di vista la costruzione ponderata del portafoglio: le valute emergenti dovrebbero essere trattate come un sostituto del rischio di credito nei portafogli e non come un asset diversificante.