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Mercati emergenti: impatti diversi da inflazione e tassi
Il conflitto in Ucraina ha cambiato il tono di fondo in cui di muovono i mercati emergenti, preoccupati per l’impatto delle sanzioni contro la Russia e di un loro eventuale inasprimento. Intanto cambia il quadro politico di molti Paesi, mentre le Cina farà sentire maggiormente la sua influenza.
La guerra ha scardinato gli equilibri che caratterizzavano i Paesi emergenti e, pur ancora poco probabile che abbandonino il dollaro come valuta di riserva, continueranno a cercare alternative per limitarne l’uso. Più sul breve termine, sostiene Chris Kushlis, chief of China and emerging markets macro strategy di T. Rowe Price, una delle loro preoccupazioni principali è il rischio di sanzioni, visto che tutti gli scambi commerciali Cina-Russia saranno sottoposti a controlli. Per ora Pechino non accenna sfide. Per i mercati globali, invece, un rilevante rischio sarebbe un embargo petrolifero da parte dell’Ue, sostenuto da sanzioni che limitino la quantità di greggio che la Russia può reindirizzare verso altri Paesi, o un auto-embargo di Mosca per fare pressioni sull'Ue.
Il quadro politico che cambia
Il quadro interno ai mercati emergenti è in fase di composizione: si sono svolte due elezioni chiave (la Colombia sarà guidata dall’ex ribelle di sinistra Gustavo Petro e, nelle Filippine, c’è il nuovo Presidente, Ferdinand Marcos Jr., figlio dell’ex dittatore Ferdinand Marcos Sr), mentre si attendono in autunno quelle in Brasile (dove il favorito è il candidato di centro-sinistra Luiz Inácio Lula da Silva). In agenda potrebbero esserci anche le elezioni anticipate in Malesia e Pakistan, mentre un occhio di riguardo merita la crisi politica nello Sri Lanka, i cui contorni sono da definire. Intanto, la crescita economica dei Paesi emergenti è piatta, col principale freno rappresentato dalla Cina, dove gli shock legati alla pandemia si stanno facendo sentire.
La Cina è destinata ad avere maggiore peso
Sebbene nel 2021 la frenata cinese non abbia contagiato gli emergenti, con la ripresa dei mercati sviluppati dopo il Covid sufficiente a mantenere elevati i prezzi delle commodity, nel 2022 la Cina potrebbe impattare di più. Per questo, secondo Kushlis, le loro prospettive di crescita sono contrastanti, con notevoli variazioni tra regioni. L’America Latina e l’area CEMEA (Central and Eastern Europe, Middle East and Africa) fanno i conti con una forte inflazione e il prospettato inasprimento delle politiche monetarie, che dovrebbero causare un rallentamento della crescita. Problemi potrebbero arrivare anche ai Paesi sviluppati, con Banche centrali più rigorose e un calo della domanda, che si tradurrebbe in un calo dell’export e nella conseguente frenata della crescita.
Il problema dell’inflazione è generale
Il problema che accomuna in questo periodo i mercati emergenti è soprattutto l’inflazione, in particolare in America Latina e in Europa centrale e orientale. Per contro, in Asia, Sudafrica e Israele gli effetti sui prezzi sono stati finora limitati, in parte a causa dei loro output gap più persistenti. L’energia e i generi alimentari sono, ha osservato l’esperto di T. Rowe Price, le componenti principali degli indici dei prezzi al consumo dei mercati emergenti (rispettivamente 8% e 25%, in media). Ciò significa che gli effetti di primo impatto della guerra in Ucraina aggiungeranno, si stima, 200-300 punti percentuali all’inflazione complessiva nel breve termine. Ancora più problematico è il fatto che alcuni di questi shock sui prezzi potrebbero rivelarsi persistenti, visti i danni subiti dall’industria globale dei fertilizzanti e l’incertezza in corso su come le sanzioni influenzeranno la capacità della Russia di esportare energia.
Orientamento valute troppo dipendente dalle commodity
L’attenzione si è concentrata anche sulle valute emergenti, che hanno avuto un andamento sostanzialmente in linea con quello delle materie prime. Gli esportatori netti hanno beneficiato di un forte apprezzamento in seguito allo shock della guerra tra Russia e Ucraina, poi affievolitosi. Nel complesso, le valute rimangono fondamentalmente a buon mercato rispetto alle medie di lungo periodo, ma mancano di un forte catalizzatore che ne determini la performance al di fuori dei rialzi ciclici delle materie prime o della ripresa del Pil mondiale e dell’export. La debolezza dei fattori di crescita interna ha limitato finora la rivalutazione delle valute locali. Anche perché, aggiunge l’esperto, la forza del dollaro Usa, alimentata da una politica di rialzo dei tassi più aggressiva e da un calo del sentimento di rischio globale, presenta un contesto difficile per le valute emergenti.