- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Mercati: l’impatto della nuova guerra in Medio Oriente
La reazione dei mercati all’attacco di Hamas a Israele è stata piuttosto contenuta. Gli investitori, consigliano gli analisti, dovrebbero concentrarsi sul lungo termine, e quindi sui fondamentali, che su eventi a breve termine, com’è considerata la guerra. È aumentato il rischio stagflazione.
Il recente attacco sferrato da Hamas a Israele ha fatto lievitare la volatilità sui mercati, con gli investitori impegnati a gestire l’aumento del rischio geopolitico i cui effetti sono tutti ancora da valutare. L’emotività ha generato un’iniziale fuga verso la qualità e gli asset difensivi, abbassando i rendimenti dei bond, mentre hanno puntato al rialzo le Borse, l’oro e il greggio. In generale, l’impatto ha sorpreso gli analisti perché è stato comunque relativamente contenuto. Il tutto, però, è stato accompagnato dalla prudenza e dal timore che il conflitto possa allargarsi. In particolare, all’Iran, che appoggia Hamas e il cui coinvolgimento chiamerebbe direttamente in causa gli Stati Uniti. Uno sviluppo, quest’ultimo, che rischia di peggiorare ulteriormente le tensioni economiche e geopolitiche attuali perché toccherebbe anche la Cina e la Russia.
Da preferire le strategie che guardano lontano
Come gli investitori possono posizionarsi per affrontare al meglio l’attuale situazione? Qual è la migliore difesa da eventuali e imprevisti scossoni? Gli analisti, in primo luogo, consigliano di guardare sul lungo termine e di non delineare il proprio portafoglio influenzati da eventi di breve termine, come è considerata al momento la nuova guerra in Medio Oriente. Piuttosto, suggeriscono, sono da ritenere sempre valide le strategie pensate sullo stato dei fondamentali, in particolare l’andamento dell’inflazione, il rallentamento dell’economia e la crescente frammentazione globale. Per questo, tra gli esperti, prevale la preferenza per asset reali, commodity e bond. La strategia contempla anche strumenti poco correlati al fine di assorbire la volatilità ed evitare reazioni eccessive agli eventi a breve termine, come la guerra.
Il rischio della stagflazione è dietro l’angolo
Il conflitto tra Israele e Hamas ha però probabilmente accelerato la strada verso la stagflazione, considerato che il principale meccanismo di trasmissione delle nuove tensioni sull’economia sarebbe l’aumento dei prezzi dell’energia. Il rincaro delle commodity, spiega David Rees, senior emerging markets economist di Schroders, porta a un rialzo dell'inflazione, mentre il rischio di effetti di secondo impatto (come l'aumento dei salari e dei prezzi) in un contesto di irrigidimento del mercato del lavoro a livello globale spingerebbe le Banche centrali a adottare ulteriori rialzi dei tassi. I persistenti timori per un’inflazione radicata ritarderebbero anche un eventuale passaggio al taglio dei tassi fino a fine 2024, il che comporterebbe una politica monetaria più restrittiva anche per tutto il prossimo anno.
La forza dell’economia Usa fa di nuovo lievitare i rendimenti
A questo punto, va da sé, una politica monetaria meno accomodante e una pressione sulle famiglie dovuta all'aumento dei prezzi delle materie prime porterebbero a un rallentamento della crescita, con un esito stagflattivo. Questa prospettiva, al momento, non trova riscontri sufficienti. L’escalation militare in Israele ha sì contribuito a limare temporaneamente i rendimenti dei Treasury ma, nel valutare l’andamento dei prezzi, secondo Mark Dowding, fixed income CIO di RBC BlueBay AM, è però notevole che i movimenti nei prezzi del petrolio siano stati relativamente contenuti e che gli asset di rischio si siano in gran parte stabilizzati. Tuttavia, nel frattempo, lo stesso esperto ha notato che sono giunte ulteriori prove di forza dell’economia statunitense facendo di nuovo lievitare significativamente i rendimenti dei Treasury.
Possibile un nuovo rialzo dei tassi Usa a novembre
La robustezza che continua a esprimere il ciclo economico statunitense indica, secondo Dowding, un rischio che la Federal Reserve dovrà aumentare ulteriormente i tassi al fine di mitigare la domanda, in linea con l'obiettivo di riportare l'inflazione al target. In sintonia anche Rees, secondo cui le preoccupazioni per gli effetti di secondo impatto potrebbero facilmente far pendere l'ago della bilancia verso un ulteriore aumento a novembre, se i prezzi del petrolio continueranno a salire. Tuttavia, secondo Dowding, non si può fare a meno di pensare che se i rendimenti continueranno a salire, raggiungeremo presto un punto di rottura che implicherà una maggiore correzione del mercato azionario. Tuttavia, molti investitori sono stati ribassisti sull’azionario per tutto l'anno - e finora sono stati ampiamente smentiti.