- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Mercati: Paesi emergenti favoriti dal picco dei tassi
I Paesi emergenti entrano in una fase positiva, con le Banche centrali che hanno iniziato a ridurre i tassi. Trend evidente in America Latina, dove l'inflazione è in diminuzione e i tassi reali sono elevati. Interessante l’obbligazionario di Kazakhistan e Uzbekistan. Da evitare Cina e Argentina.
La fine della fase rialzista dei tassi d’interesse nel mondo sviluppato potrebbe essere un’occasione favorevole per riposizionarsi sull’obbligazionario emergente e di frontiera. Si tratta di un’asset class che oggi presenta quotazioni convenienti, tenuto conto che negli ultimi due anni ha sofferto una generale avversione al rischio e la risalita dei rendimenti sul reddito fisso dei Paesi sviluppati. E, in questo ambito, i bond denominati in valuta locale si sono dimostrati particolarmente resilienti. Il risk sentiment, osserva Ulla Huotari, portfolio manager Emerging & Frontier Markets di Aktia, asset manager rappresentato in Italia da Amchor IS, ha infatti iniziato a migliorare sulla scia di prospettive più favorevoli per l’inflazione Usa: questo crea spazi (e opportunità per gli investitori) per i Paesi emergenti.
Le Banche centrali emergenti si trovano in vantaggio
Ad avvantaggiarli è soprattutto il fatto che, rispetto a certi mercati di frontiera dove c’è carenza di dollari (come è il caso di Nigeria, Ghana, Kenya ed Egitto), quelli emergenti sono meglio posizionati perché le Banche centrali, che hanno iniziato il ciclo restrittivo in anticipo, oggi stanno allentando la stretta prima rispetto all’Occidente. A questo proposito l’esperta nota che, nel 2023, diverse Banche centrali dell’America Latina hanno iniziato a ridurre i tassi e l’inflazione in questi Paesi sta scendendo, i tassi reali quindi sono elevati. Le condizioni per i mercati di frontiera, che sono considerati investimenti di lungo periodo, miglioreranno se i tassi Usa inizieranno a scendere e il dollaro s’indebolisce: negli ultimi anni questi Paesi, infatti, hanno fatto fatica a finanziarsi sui mercati dei capitali globali.
Come pensare il riposizionamento del portafoglio
Già oggi, afferma Huotari, è possibile prendere esposizione su questi mercati di frontiera in valuta locale con un portafoglio per il 65% investment grade - diversificando il rischio Paese con emissioni di istituzioni finanziarie per la cooperazione allo sviluppo tripla A - e allocando una quota preponderante a derivati su valute non-deliverable regolati in dollari che sono più liquidi. È fondamentale, sottolinea l’esperta, che da parte dell’investitori ci sia un’efficace selezione dei Paesi che si vuole mettere nel portafoglio (stiamo parlando di un universo di 146 Stati), mettendo un’attenzione particolare soprattutto alla loro capacità di rimborsare i propri debiti nel lungo periodo. Inoltre, nella valutazione complessiva, non si possono trascurare fattori importanti come l’economia, gli aspetti sociali e di governance.
I metodi di valutazione
Una strategia premiante, aggiunge Huotari, è quella di puntare su quelli che hanno migliori chance di essere oggetto di una revisione al rialzo del merito di credito da parte delle agenzie di rating. Per esempio, quest’anno è stato il caso di Serbia, Repubblica Domenicana, Costa Rica e Uruguay. Nel processo di selezione dei Paesi emergenti è possibile integrare anche i fattori ESG, purché si tenga conto delle specificità di questi mercati. In altre parole, bisogna concentrarsi più sugli indicatori relativi alla governance (in queste aree i dati sociali e di governance sono più abbondanti di quelli ambientali) e focalizzarsi più sulle tendenze di fondo che sui semplici dati (questi Paesi, quando si tratta di sostenibilità, si muovono infatti da punti di partenza molto diversi tra loro).
America Latina e Kazakhistan in pole position
Tra i Paesi di frontiera c’è valore in Kazakhistan, che ha un basso debito (attorno al 25% del Pil) e elevate riserve in valuta. Sugli scudi anche l’Uzbekistan, che vanta una storia di riforme dopo la morte dell’ultimo presidente. Per bilanciare i rischi, si guarda all’Uruguay. Per l’obbligazionario emergente tradizionale in valuta locale piacciono Brasile e Messico, perché i tassi reali sono più elevati, mentre le Banche centrali stanno già tagliando e l’inflazione è in calo. Per contro, Aktia non investe in Argentina e si tiene alla larga dalla Cina, a causa di livelli di rendimento molto bassi e della crisi immobiliare, che rappresenta un forte freno tra gli altri fattori strutturali. Naturalmente per la Cina c’è anche il rischio geopolitico e, in sintesi, secondo l’esperta, si possono trovare rendimenti più interessanti in altri emergenti.
Nel 2024 più che ai rischi geopolitici si guarda alle elezioni
Per investire nei Paesi emergenti e di frontiera occorre abituarsi ai rischi geopolitici che possono minare i flussi dei capitali stranieri. Proprio per questo, Huotari ammette che tende a non investire dove la stabilità generale è a rischio. Nel caso del Medio Oriente pare che i mercati abbiano già scontato la guerra e, comunque, Aktia non ha investimenti diretti in quell’area. Più che alla geopolitica l’anno prossimo i mercati guarderemo ai risultati delle elezioni: nel 2024, infatti, circa il 40% della popolazione mondiale andrà alle urne. Le elezioni si terranno non solo nei mercati sviluppati, dove c’è attesa per le presidenziali USA, ma anche in numerosi Paesi emergenti e di frontiera. Dopo l’Argentina ci sarà Egitto, Bangladesh, Pakistan e India. La geopolitica è destinata a rimanere un tema nel medio periodo.