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Opec, il rinnovo dei tagli potrebbe non bastare
L’aumento della produzione atteso nei paesi non Opec potrebbe annullare gli effetti sulle quotazioni del barile potenzialmente ascrivibili al rinnovo del taglio della produzione da parte del cartello petrolifero
Proprio quando sembrava che le riserve mondiali di petrolio stessero sperimentando un calo graduale ma continuo, i dati pubblicati da Reuters mostrano che dallo stretto della Malacca, passando per i porti del Nord Europa e arrivando fino al Golfo del Messico, la caduta degli inventari di greggio ha subito un deciso contraccolpo e, in alcuni casi, si è addirittura invertita. Nel frattempo, le proiezioni relative alla produzione di petrolio in Canada, Brasile e Stati Uniti continuano a evidenziare segnali di forza. Gli Usa produrranno quasi 10 milioni di barili giornalieri nel 2018 e molti altri paesi proiettano incrementi imminenti.
Amsterdam, Rotterdam e Amburgo ospitano alcuni dei siti di immagazzinamento petroliferi più importanti del pianeta. Anche qui la quantità di petrolio accumulata sta registrando aumenti derivanti dalla mancanza di spazi nelle raffinerie in cui viene processato.
Stando ai dati pubblicati da Reuters, le raffinerie di mezzo mondo sono alle prese con la gestione di flussi in eccesso di materia prima. Il sistema starebbe generando colli di bottiglia nel processo di produzione di combustibili. Negli enormi magazzini localizzati sulle coste sudafricane, capaci di ospitare 45 mln di barili di greggio, dopo due mesi di saldi netti negativi tra flussi in entrata e uscita, si comincia a fare i conti con un sensibile incremento delle scorte. La stessa cosa accade a Houston, in Texas, dove fin dall’inizio dello scorso aprile i siti di stoccaggio hanno cominciato a registrare nuovi record storici. In Asia la situazione si presenta a macchia di leopardo, con i siti cinesi in controtendenza e riserve prossime ai minimi degli ultimi quarantotto mesi.
L’azione dell’Opec non è sufficiente
Anche se è certo che i tagli alla produzione decisi dall’Opec hanno frenato il netto incremento delle riserve mondiali, gli effetti imputabili a tale decisione sembrano molto più limitati rispetto alle attese. Il cartello dei paesi produttori di petrolio ha intenzione di prolungare di altri nove mesi i tagli, tuttavia, la minore offerta potrebbe essere compensata dagli incrementi della produzione annunciati da alcune grandi società di Usa, Canada, Brasile, Norvegia e Regno Unito. In Uk, nell’area del Mare del Nord, British Petroleum ha annunciato che raddoppierà la sua produzione mediante la riapertura di alcuni pozzi che erano stati chiusi nel 2013. Bp stima che la sua produzione nel Regno Unito supererà i 200.000 barili giornalieri entro il 2020, un dato che si tradurrebbe nell’estrazione di 1,2 mln di barili giornalieri nell’area.
The Wall Street Journal ha recentemente pubblicato un approfondimento in cui evidenzia che l’Opec produce il 40% del greggio mondiale, una percentuale che potrebbe ridursi nei prossimi mesi in scia agli incrementi della produzione annunciati da alcuni colossi del settore.
I piani di Canada e Usa
In alcuni casi –Usa in testa- gli incrementi sono già un dato di fatto. In altri casi –Canada e Brasile- l’accelerazione della produzione produrrà i suoi effetti nel medio termine. Se la quotazione del barile riuscirà a mantenersi nei pressi dei 50 usd, si stima che la produzione canadese (quinto produttore mondiale) si impenni fino ai 4,7 mln di barili diari entro la fine del 2017. Il dato implica un incremento di 200.000 barili giornalieri rispetto alla produzione attuale.
Il Brasile, nono produttore a livello mondiale, potrebbe verde crescere la sua produzione di 212.000 barili giornalieri entro la fine dell’anno, raggiungendo una produzione complessiva di 2,8 mln diari. Alle quotazioni attuale si stima che il paese possa produrre 50.000 barili giornalieri in più rispetto al dato odierno. L’impulso alla produzione potrebbe arrivare dalla maggiore efficienza delle tecniche utilizzate per l’estrazione nelle acque profonde.