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Il giusto mix tra investimenti e liquidità
La storia dei mercati finanziari dimostra che le esigenze di breve termine imposte dalla vita di tutti i giorni non vanno a braccetto con le performance offerte da un portafoglio mantenuto per un periodo di tempo lungo.
Per capire i vantaggi e gli inconvenienti di mantenere una percentuale di liquidità in portafoglio, prendiamo in considerazione tre portafogli creati nel lontano 1986 e mantenuti fino ai nostri giorni. Il primo portafoglio prevede il 100% di patrimonio destinato all’indice Standard and Poor’s 500. Il secondo prevede il 70% destinato alle azioni dell’indice S&P500 e il 30% in prodotti monetari. Il terzo portafoglio ha il 100% in strumenti monetari. Diecimila usd destinati al portafoglio 1 sarebbero diventati 218.000 usd (circa 100.000 se teniamo conto dell’incidenza dell’inflazione).
Nel secondo caso si sarebbero trasformati in 130.000 e nel terzo 27.000 usd (12 se depurati dall’incedere dell’inflazione). Ovviamente la deviazione standard di ogni portafoglio non viene presa in considerazione nel nostro calcolo perché altrimenti dovremmo tener conto che il portafoglio più rischioso è arrivato a perdere anche il 37% negli anni peggiori.
La superiorità delle performance di un portafoglio completamente investito è reale, tuttavia, nessuno tende a mantenere lo stesso portafoglio per trenta anni. Teoricamente, l’orizzonte temporale ideale (e più realistico) potrebbe essere dieci anni, ma la maggior parte degli investitori arriva di media ai 4 anni. Tornando all’esempio precedente e dividendo il periodo in sotto periodi di 4 anni, le cose cambiano completamente. Nei periodi di mercato ‘toro’, la convenienza a restare investiti è indiscutibile. Lo stesso non si può affermare nei periodi di stallo o di mercato ‘orso’. L’unica certezza è che, prima di prendere qualsiasi decisione, bisognerebbe unire teoria (avere un metodo) e realtà (consapevolezza del proprio orizzonte temporale e della predisposizione personale al rischio) per costruire al meglio il portafoglio.
Una parte degli investitori pensa che sia opportuno restare sempre investiti. L’ipotesi a supporto di questa strategia è che, nel lungo termine, mantenere in portafoglio titoli di rischio o di debito (azioni o obbligazioni) sia sempre più redditizio rispetto al mantenimento di elevate percentuali di liquidità. Un’altra parte di investitori preferisce avere sempre una più o meno corposa percentuale di patrimonio in strumenti liquidi sia per evitare di incorrere in pesanti perdite durante le periodiche fasi di correzione dei listini sia per poter approfittare della presenza di quotazioni sacrificate per fare acquisti a sconto.
Entrambe le impostazioni potrebbero trovare una giustificazione plausibile a seconda dei dati presi in considerazione. Ipotizzare che i mercati azionari possano continuare a crescere per i prossimi nove anni o che si ritrovino a fare i conti con una correzione del 50%, non sembrano argomenti sufficienti a stabilire la supremazia di una delle due strategie. Una teoria improntata all’equilibrio sostiene che, come minimo, l’investitore dovrebbe mantenere in liquidità una somma pari a 6-12 mensilità delle proprie spese correnti.
In questo modo si evita di esporre a rischi il denaro che potrebbe essere necessario nel breve termine. In altri termini, viene creato un cuscinetto di liquidità per affrontare periodi difficili o spese impreviste. La restante parte potrebbe essere completamente investita perché si tratta di risparmio di cui non si ha bisogno nel medio termine.
Se osserviamo la realtà e ragioniamo fuori da questi schemi, si nota che, in presenza dell’attuale contesto dei tassi d’interesse, molti investitori si stanno avvicinando –o stanno aumentando la propria esposizione, al mercato azionario attraverso l’acquisto di blue chips (titoli ad elevata capitalizzazione), Etf che replicano a basso costo indici azionari e obbligazionari e fondi comuni d’investimento. La speranza di questi sottoscrittori è di riuscire a ottenere almeno lo stesso livello di dividendi o le cedole distribuite nel corso degli ultimi anni.
Questo trend sta alimentando flussi massicci di nuovo denaro verso indici come lo Standard and Poor’s 500 che, nel caso degli Etf, sta registrando volumi in entrata molto elevati. Sul versante obbligazionario il trend è similare. In questo modo, gli investitori restano totalmente investiti con livelli medi (non ottimali) di diversificazione dei portafogli, in quella che ‘appare’ come l’unica possibilità reale di ottenere un rendimento soddisfacente.