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Luci e ombre su un anno di Trump
Siamo arrivati a un anno dall'insediamento di Donald Trump sulla seggiola più importante del mondo ed è naturale fare un minimo di bilanci. Va subito detto che in questa analisi cercheremo di concentrarci meno sugli aspetti ideologici, sottolineando soprattutto i dati di natura economica emersi finora.
Sostanzialmente ciò che è accaduto è che l'economia statunitense è tornata a crescere a ritmi che si posizionano nella parte più alta del range che ha caratterizzato l'ultimo decennio della prima economia del pianeta. Lo scorso terzo trimestre l'incremento, calcolato su base congiunturale e annualizzata, è stato +3,3%, il valore più elevato da circa un triennio. Nel corso del 2017 il Pil dovrebbe essere salito di circa il 2,3- 2,5%, un livello che probabilmente si ripeterà nel 2018. Si tratta di un'accelerazione non indifferente rispetto al +1,5% registrato nel 2016, anno che era risultato il peggiore dopo la crisi finanziaria e che però aveva fatto seguito a un buon 2015 (+2,9%).
In realtà con ogni probabilità negli Usa non è successo nulla di diverso rispetto a ciò che si è visto in giro per il mondo. In pratica si è verificata una quasi recessione dovuta al rallentamento cinese che a sua volta ha provocato un collasso nell'ambito delle materie prime. I forti investimenti industriali in tutto ciò che è energia hanno poi fatto sì che il paese si trovasse esposto al ciclo globale industriale più di quanto comunemente si ritenga possibile per un’economia orientata ai servizi come quella statunitense. Di conseguenza gli Usa sembrano rientrati più o meno in quella che è ormai il new normal da molti anni, probabilmente con un po’ di spinta aggiuntiva dovuta alla ripresa globale.
Contemporaneamente l'occupazione ha più o meno seguito la stesso andamento: l'anno è infatti finito con un tasso praticamente pari alla piena occupazione (4,1%), mentre lo scorso gennaio era a 4,8%. Quest'ultimo valore era rimasto quasi invariato rispetto al 4,9% registrato nel gennaio 2016, segno anche sul fronte del lavoro delle difficoltà di tale anno.
Se però andiamo indietro nel tempo scopriamo che in realtà anche l'andamento dell'occupazione è rientrato nella norma degli anni 10. Fra il gennaio del 2014 e quello del 2015, ad esempio, il tasso di disoccupazione è passato dal 6,6% al 5,7%, mentre nell'anno successivo è sceso appunto al 4,8%.
Attualmente la media di nuovi posti di lavoro creati non è particolarmente elevata: siamo sotto quota 150 mila al mese, però anche in questo caso non c'è da stupirsi: dato il tasso di disoccupazione basso, è normale che non venga aggiunta una quantità clamorosa di nuovi posti.
L'inflazione quest'anno dovrebbe posizionarsi intorno al 2%, un valore che non si vedeva dal 2012, ma tutto sembra discendere più dalla ripresa dei corsi delle materie prime e da quel minimo di pressione in più che si sta vedendo sui salari, piuttosto che da specifici cambiamenti in termini di politiche attuate.
Per quanto riguarda queste ultime ovviamente la più importante è la riforma fiscale sugli utili delle imprese, nei confronti della quale vi sono grandi aspettative e nei cui confronti le reazioni sono state positive: su questo punto, che è certamente il provvedimento governativo più importante, varrà la pena ritornare. Per il momento però non si può fare altro che concludere che sostanzialmente né Trump né Obama, agli estremi opposti ma entrambi i due presidenti più ideologici che gli States hanno avuto dal dopoguerra, hanno cambiato più di tanto il sistema, né in meglio né in peggio (a seconda dei punti di vista).
Ciò depone senz'altro a favore di un'America il cui sistema riesce comunque ad autoregolarsi e a esprimere il proprio potenziale al di là delle traversie politiche di Washington.