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Cina, resta sempre un must

13/02/2018

Nella generale caduta delle borse, peraltro per il momento apparentemente arginata, la Cina, che negli ultimi mesi del 2017 e nel primo del 2018 era stato un mercato molto brillante, ha preso una discreta batosta, anche se non peggiore di altre piazze finanziarie. Lo Shanghai composite, che il 26 gennaio aveva raggiunto il suo massimo a 3.558 punti, è oggi a 3.153, con una perdita dell’11,38%. Rispetto a un anno fa il calo è stato del 2,09%, mentre in confronto al minimo del 2017 del 10 maggio a 3.052 è ancora su del 3,30%.

Non molto diverso l’andamento dello Shenzhen composite, l’indice della seconda borsa cinese, che raccoglie soprattutto i titoli tecnologici.  Dai livelli più elevati di gennaio a 1.953 punti è sceso agli attuali 1.723, con una perdita dell’11,77% in circa due settimane.

A questo punto sono da considerare in pericolo gli investimenti sui in Cina? L’idea che il colosso asiatico rappresenti un mercato di grandissimo avvenire è da considerare almeno momentaneamente chiusa? La risposta è abbastanza complessa, ma si può già anticipare che una realtà così complessa non si fa certo fermare da un bear market la cui entità e la cui durata non sono state ancora definite.

Innanzitutto il mercato del Dragone è abbastanza frammentato: a fianco a vecchie imprese di stato spesso tecnologicamente indietro, indebitate e con livelli di governance molto mediocri, si trovano società It che sono in grado di rivaleggiare con i più importanti competitor Usa. Alla base c’è una ricerca scientifica di primissimo ordine, ma anche una grande propensione da parte del grande pubblico a utilizzare l’hi tech in maniera sempre più pervasiva.

Non a caso oggi la Repubblica Popolare sta acquisendo una vera e propria leadership nell’auto elettrica e nella fintech. Proprio in quest’ultimo comparto, dove i giganti Alibaba (e-commerce), Tencent (messaggistica) e Baidu (motore di ricerca) gestiscono grandi volumi di pagamenti digitali, la crescita si sta rivelando tumultuosa: la sola Alipay ha 400 milioni di clienti e l’innovazione finanziaria non è nemmeno paragonabile con quella che si vede presso le banche occidentali, dove i fattori culturali sono un ostacolo all'innovazione.

Anche in un settore chiave come l’hardware la presenza cinese a livello globale si sta facendo sempre più forte: Huawei ha chiuso il 2017 al terzo posto al mondo come quota di mercato nel mercato degli smartphone, con il 10%, dietro solo ad Apple e Samsung, mentre anche la quarta, la quinta e sesta posizione sono occupate da aziende cinesi.

Ma a dare buone opportunità di utili non c’è solo l’hi-tech: una tendenza interessante è la ricerca di qualità nel settore dei servizi e dei consumi, compresi i viaggi, i servizi finanziari (pianificazione finanziaria) e l'healthcare, dove emergono nuove opportunità man mano che sempre più aziende si posizionano su livelli più elevati, caratterizzati da maggiore valore e ingenti margini.

Il tutto in un contesto generale di crescita che rimane elevatissima, almeno sulla base degli standard occidentali: la crescita del Pil quest’anno dovrebbe collocarsi intorno al 6,3-6,5%, con un chiaro aumento delle esportazioni e una stabilizzazione dell’uscita di capitali dal paese. Anche il sistema bancario ombra, che stava rischiando di incrementare l’indebitamento complessivo su livelli non più accettabili, sembra sotto controllo.

In pratica oggi nessuno è in grado di dire se ciò che sta succedendo sui mercati di tutto il mondo rappresenta solo un momento di volatilità destinata a rientrare, ma, se nell’investimento in borsa c’è una logica, certamente i capitali parcheggiati a Shanghai e Shenzhen sono destinati almeno sul medio termine a dare buoni frutti. Difficilmente al mondo si possono trovare condizioni generali ancora così positive.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

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