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It, ballando sul ghiaccio sottile
Ovviamente la notizia della settimana è il bear market di Facebook completato in un giorno, fra mercoledì 25 nell’after market e la sessione regolare del 26. In generale è sempre bene non elaborare conclusioni generali su un mercato o un settore dalle vicende di una singola azienda, per quanto importante, poiché a livello societario può essere presente una pletora di idiosincrasie i cui effetti poi sulla totalità del listino sono pressoché nulli.
Certo fa un po' specie vedere una delle celebrate Fang (per chi non lo sapesse Facebook, Amazon, Netflix e Google), che fino a mercoledì scambiava ai propri massimi storici in rialzo di oltre il 23% dall'inizio dell'anno, mettere a segno la maggiore perdita in una sessione della storia di Wall Street. Infatti dopo avere lasciato sul terreno il 24% nella seduta notturna di mercoledì, che ha fatto seguito alla pubblicazione dei risultati trimestrali, il giorno dopo sono stati lasciati sul terreno circa 119,5 miliardi di capitalizzazione borsistica, terminando in ribasso di circa il 19% rispetto alla chiusura diurna di mercoledì.
Ovviamente in termini percentuali si ricordano, nella storia dell'azionario statunitense, collassi ben più paurosi, ma una simile discesa non era mai successa per un titano di simili dimensioni. Contemporaneamente risultati non entusiasmanti hanno spinto anche Twitter (-18%) e Netflix (-5%) in territorio fortemente negativo. Specularmente Amazon, nonostante risultati inferiori alle attese per quanto riguarda il fatturato, ha riportato un Eps doppio rispetto alle attese degli investitori. Ciò ha spinto inizialmente l'azione del colosso guidato da Jeff Bezos in rialzo di oltre il 3%, per poi perdere nella sessione successiva tutto il terreno appena guadagnato.
È bene ribadire che non è il caso di trarre conclusioni generali da quelli che sono in fondo singole storie, anche se riguardano aziende che sono diventate le superstar assolute di questo decennio. I problemi in questo caso, però, sono due: il primo è che notoriamente se comincia a traballare la tecnologia e il growth in generale in Usa difficilmente il resto dei listini globali sarebbe in grado di reggersi a lungo. In questi giorni stiamo vedendo un po' di rotazione settoriale, ma di fronte a una crisi conclamata dell'It ci sarebbe ben poco da fare.
Il secondo problema è che gli investitori sembrano diventati sempre più esigenti: né Amazon, né Facebook, né Netflix (Twitter è una realtà con dinamiche diverse e già da anni con un minore potenziale di crescita) hanno pubblicato risultati men che ottimi. Per dire i profitti del numero uno dei social network sono saliti del 42% rispetto a un anno fa, mentre il fatturato è salito di oltre il 31%. È vero che sono calati gli utenti attivi giornalieri in Europa mentre in nord America sono rimasti stabili, però in altri contesti gli investitori non avrebbero reagito così.
La realtà, non eccessivamente incoraggiante, è che il rally dell'high tech di questi anni sta diventando sempre più fragile in quanto si sta basando su aspettative sempre più elevate. Si potrebbe dire ormai che il pubblico degli investitori non chiede più temi growth bensì hyper-growth. Questo è un aspetto peraltro che vale la pena approfondire con analisi a se stanti.
Concludiamo introducendo un altro punto interessante: fra il 2015 e i primi mesi del 2016 l’S&P 500 Information Technology subì un drawdown di oltre il 15%, un quasi bear market da cui si riprese molto velocemente sull'onda di fondamentali economici generali in forte ripresa e settoriali in pieno boom. Questa esperienza del recente passato ci dice che al primo segnale concreto di rallentamento economico le conseguenze sarebbero pesanti.