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Scricchiolii sinistri
La settimana dei mercati finanziari si è chiusa in maniera che non esitiamo a definire disastrosa, con l'unico tentativo di rimbalzo messo a segno solo quando sul Wall Street Journal è comparso un articolo in cui veniva descritta una Federal Reserve improvvisamente più timorosa sulla propria politica di normalizzazione monetaria.
Venerdì nella mattinata americana, poi, un rapporto sul mercato del lavoro nel mese di novembre più debole delle attese ha brevemente spinto su i mercati, anche in questo caso con la speranza di vedere la Banca centrale più cauta. Queste insensate fiammate, però, sono durate poco, con l'azionario made in Usa che alla fine ha chiuso sui minimi, perdendo circa il 4% in una settimana. I minimi annuali di febbraio sono ormai all'orizzonte con un momentum estremamente negativo.
Ovviamente le cose potrebbero girare da un momento all'altro in un'altra direzione, ma l'inerzia non appare particolarmente favorevole. In queste condizioni le probabilità di vedere un bear market dell'S&P 500 sono piuttosto elevate.
La settimana scorsa avevamo comunque accennato al fatto che lo scenario economico appare per il momento decente, con però diverse crepe che cominciano ad affacciarsi. Oggi vale la pena elencare qualche motivo di pessimismo, per una ragione molto semplice: probabilmente una recessione nel 2019 non rappresenta ancora lo scenario centrale, se intendiamo con tale vocabolo un quadro di crisi pesante e generalizzata (diverso è il caso se ci limitiamo alla possibilità di contrazione di economie particolarmente in difficoltà come quella italiana), però essa rappresenta un rischio tutt'altro che immateriale.
Infatti, dagli outlook che emergono, all’eventualità più negativa per gli Usa viene assegnata una probabilità del 20-25%. Non esattamente un rischio irrilevante, specialmente se si considerano le condizioni in cui ci arriveremmo. Molti dei problemi strutturali di 10 anni fa non sono stati minimamente risolti e in alcuni casi (un'espansione sempre più intensa del debito totale che produce una crescita sempre minore del Pil) si sono persino aggravati. In questa situazione, date le quotazioni non esattamente a buon mercato di molti asset rischiosi, anche una recessione tutto sommato leggera a livello macro con ogni probabilità causerebbe un bear market brutale sui mercati.
Spie e indicatori inquietanti non mancano: diverse nazioni europee hanno visto una contrazione congiunturale del proprio output economico nel terzo trimestre. Tra queste, oltre all'Italia, ricordiamo anche la Svezia e la Svizzera. Lo stesso ha fatto il Giappone, che anzi proprio oggi ha rivisto ancora più in negativo, e ben oltre le attese, il calo del terzo trimestre. In prima lettura il dato mostrava -1,2%, su base annuale, corretto attualmente a -2,5%, con un crollo del capex. Sempre nel Far East la Cina a novembre ha mostrato una diminuzione, sia delle importazioni, sia delle esportazioni
È vero che in alcuni casi questi dati sono stati accentuati da elementi congiunturali, come il maltempo giapponese, ma non si può fare ameno di notare che c’è un filo conduttore in queste cattive notizie: a mostrare particolare debolezza sono quei paesi e quei seguenti economici fortemente ciclici. Di fronte a tutto ciò a evitare una caduta rovinosa in recessione finora ci hanno pensato soprattutto i consumatori americani e, in parte, quelli europei. Se investimenti, commercio estero e manifattura continueranno a segnare il passo difficilmente anche questo pilastro reggerà, specialmente con un immobiliare statunitense che, sorpresa delle sorprese, sta cominciando a mostrare scricchiolii seri in un quadro di maggiore costo del denaro e situazioni di bolla conclamata in diverse città costiere.
Forse i mercati stanno scappando dai fantasmi, ma allo stato attuale ci vuole molto poco affinché gli incubi si trasformino in realtà.