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I mercati attuali, un gigantesco enigma
I primi due giorni del 2019 hanno visto sul mercato azionario americano un calo complessivo di oltre il 2%: si tratta della peggiore apertura di anno dell’S&P 500 dall'inizio del 2001, che rappresentò l'avvio del feroce bear market che segnò il collasso della prima ondata di internet. Che cosa significa per gli investitori questa statistica? Assolutamente nulla: se cerchiamo fra un numero sufficientemente ampio di indicatori da applicare a una serie storica adeguatamente estesa nel tempo troviamo pressoché in ogni momento avvenimenti inusuali.
Ciò che però forse è più interessante è confrontare quanto avvenuto con l'apertura di venerdì 4 gennaio, in cui in seguito a un rapporto sulla creazione di posti di lavoro in Usa largamente migliore delle aspettative e alle parole concilianti di Jerome Powell, presidente della Fed, che ha dichiarato che la Banca centrale sarà paziente per quanto riguarda il processo di rialzo dei tassi, gli indici equity hanno rapidamente recuperato quasi tutto il terreno perso in avvio di 2019. Le cose peraltro sembravano essersi già rasserenate, dopo una chiusura con un umore nerissimo giovedì, grazie alla tregua fra Usa e Cina a livello commerciale.
In pratica si naviga a vista, con le tipiche oscillazioni dal panico nichilista all'euforia da scampato pericolo mortale. Notoriamente di certo per quanto riguarda il futuro non c'è mai niente, ma in un quadro come quello appena descritto è ragionevole pensare che, almeno per qualche mese, vedremo una continuazione del trend di crescita della volatilità del 2018, con peraltro punte acute di volatilità di volatilità. Non appare esattamente irrealistico immaginare un primo trimestre del 2019 caratterizzato da giornate di crollo con ascesa verticale del Vix, una forte inversione della curva di quest'ultimo cui faranno seguito sessioni di segno opposto.
A patto di riuscire a mantenere i nervi saldi, si apriranno buone occasioni per riuscire a mettere a segno notevoli profitti, sfruttando ad esempio il probabile differenziale fra volatilità implicita e realizzata. In pratica una situazione caotica in cui i rischi appaiono con una skewness fortemente orientata al ribasso, perché è possibile affermare ciò? Perché ci vorrà del tempo e una lunga sequenza di dati rassicuranti per cancellare dalla mente degli investitori la prospettiva di una recessione imminente.
Il pattern cui si sta assistendo in questo inizio anno, infatti, sembra di disorientamento assoluto. Si badi bene: non siamo ancora al punto in cui la propensione al rischio crolla definitivamente con l'accettazione di prospettive di minori profitti per le aziende, investimenti in caduta libera, aumento dei default sui corporate, difficoltà politiche per gli stati più indebitati, etc.
In questo momento semplicemente regna l'incertezza, che comincerà a venire un minimo dissipata entrando nel vivo della stagione delle trimestrali. Vale perciò la pena provare a investire in uno scenario come questo? La risposta dipende dal grado di tolleranza al rischio che si ha: è chiaro che su alcuni settori, asset class e singoli titoli vi è la concreta possibilità di andare incontro a forti e rapidi rialzi, a fronte di un rasserenamento del clima.
In una situazione di miglioramento generale i colossi tech statunitensi, quelli asiatici, certi nomi del biotech, il debito di numerose nazioni emergenti, le subordinate e le azioni delle due major bancarie italiane e, se si riprendesse il ciclo manifatturiero globale, il Dax tedesco potrebbero rappresentare veri i propri driver di crescita.
Il mondo finanziario è attualmente pieno di opportunità, ma anche di rischi enormi.