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Greenflation: l’impatto sulle commodity
Le politiche ambientaliste sposate dai privati e dai Governi stanno alimentando la greenflation, ovvero il rincaro di tutti quei materiali che servono per la creazione di tecnologie rinnovabili. Il caro delle materie prime caratterizzerà tutto il 2022.
La svolta ambientalista presa dal mondo punta alla sostenibilità delle fonti energetiche, ma per perseguirla, bisogna fare i conti con l’effetto inflazione che questa strada può comportare. Sui mercati, infatti, inizia a serpeggiare sempre più spesso la parola 'greenflation', ovvero il sistematico aumento dei prezzi di tutti quei materiali utilizzati (direttamente e indirettamente) nella creazione di tecnologie rinnovabili. Un fenomeno studiato dai fund manager di Schroders Dravasp Jhabvala (agricoltura), James Luke (metalli) e Malcom Melville (energia), partendo dal fatto che nel 2021 le materie prime hanno sovraperformato.
Atteso maggiore impegno per il passaggio alle rinnovabili
Questa tendenza, già prima dello scoppio della guerra, sembrava destinata a proseguire anche nel 2022 per le scorte molto basse, l’aumento della domanda e la risposta dell’offerta ai prezzi più alti. Ora c’è da capire se la maggiore attenzione europea alla sicurezza (nell’approvvigionamento energetico e militare) avrà un impatto. In alcuni mercati, secondo i tre esperti, la risposta è probabilmente sì. Tuttavia, come conseguenza della rinnovata attenzione per la sicurezza energetica e la ridotta dipendenza dall’energia russa dovrebbero raddoppiare gli impegni verso un rapido passaggio alle rinnovabili e all’elettrificazione dei trasporti. Non di meno, aggiungono, per ridurre i rischi di tendenze scomposte nei mercati dell’energia, potrebbe essere necessario un allentamento a breve termine dei programmi di decarbonizzazione (per esempio, tenendo aperte le centrali a carbone più a lungo di quanto previsto).
Come impattano le politiche green
Nell’attesa sta prendendo rapidamente piede la greenflation, come mostra il fatto che le politiche di mitigazione del clima già rafforzano la domanda di materie prime come rame e nichel. Tuttavia, l’impatto sul lato dell’offerta è probabilmente maggiore e interessa una gamma più ampia di materie prime. Allo stesso tempo, paradossalmente, la svolta ambientalista limita anche la nascita di nuova offerta di combustibili fossili e metalli, con conseguenze dirette sulle loro disponibilità e quotazioni. In un mondo che si concentra sull’elettrificazione e sul passaggio a fonti di energia rinnovabile, i tre esperti di Schroders rilevano l’aumento dei timori che gli asset legati ai combustibili fossili diventino 'stranded', letteralmente 'beni incagliati' perché soggetti a una svalutazione imprevista o prematura per inutilizzo.
Da monitorare i sostegni dei Governi
Oggi i produttori di minerali sono più concentrati sulla riduzione delle proprie impronte di carbonio che sull’aumento dell’offerta. Una parte crescente dei fondi per gli investimenti, infatti, non è destinata all'incremento della produzione di metalli critici, ma alla decarbonizzazione delle attuali catene di approvvigionamento. Non bisogna poi sottovalutare il peso dell’influenza dei Governi. L’impegno della Cina verso obiettivi climatici, per esempio, sta impattando molto sulla domanda di 'combustibili ponte' più puliti come il gas naturale, oltre a limitare fortemente gli investimenti in aree come la fusione dell’alluminio. Sono da monitorare anche gli effetti indiretti: mentre i prezzi alti del gas naturale e del GNL in Europa e Asia non hanno quasi alcun impatto diretto sui rendimenti degli indici delle commodity, i prezzi molto alti dei fertilizzanti che ne derivano possono far aumentare, a livello globale, i costi di produzione di varie materie prime agricole.
Il caro-commodity caratterizzerà il 2022
Insomma, le solite regole non si applicano più. Gli attuali elevati prezzi del petrolio avrebbero in passato innescato un aumento degli investimenti. Nel 2022, la domanda di petrolio supererà probabilmente i livelli pre-pandemici. Tuttavia, le spese in conto capitale nel settore non stanno crescendo e, inoltre, l’OPEC fatica a raggiungere le sue attuali quote produttive, fattore che dovrebbe far salire ulteriormente i prezzi del greggio. Questa mancanza di investimenti genera un disallineamento tra domanda e offerta. Quando la domanda rimane alta, ma l’offerta è limitata, il risultato è un aumento dei prezzi. Questo tema sarà ricorrente, nel 2022, in tutti i mercati delle commodity.