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Materie prime: lo shock delle bollette sull’economia
Petrolio, gas e grano: sono tre delle principali commodity esportate dalla Russia. Le sanzioni hanno fatto schizzare i loro prezzi, con effetti sull’economia e sui portafogli. Analisi su come si possono compensare le forniture compromesse dalla guerra e come gli investitori possono difendersi.
L’impennata delle materie prime si sta ripercuotendo, oltre che nell’economia, sui portafogli degli investitori. Se il Covid ha portato più attenzione sulla vicinanza delle supply chain, uno degli effetti della guerra è di avere concentrato l’attenzione dei mercati sulla sicurezza della reperibilità delle commodity. Polina Kurdyavko, head of emerging markets, senior portfolio manager di BlueBay, ha cercato di capire quali sono le possibili implicazioni di un rincaro delle materie prime sulle economie globali e, soprattutto, quali dovrebbero essere le strategie degli investitori per proteggere il loro capitale. Prima di procedere all’analisi bisogna però fare una distinzione tra l’impatto dei cambiamenti di prezzo e di volume e anche una precisazione: l’impatto di questi cambiamenti varia a secondo del tipo di merce.
Oggi il mondo dipende meno dal petrolio
L’attenzione si concentra sul corso del petrolio: se salisse a 150-180 dollari per due mesi, per JP Morgan l’inflazione globale aumenterebbe di 3 punti percentuali e la crescita si ridurrebbe di altrettanto. Guardando alle implicazioni dei volumi, il precedente stabilito con l’embargo Opec sugli Stati Uniti nel 1973 (volumi di petrolio tagliati del 25%) si tradusse in una perdita di 6 punti percentuali nel Pil Usa. Questa volta, stima Kurdyavko, lo shock dell’offerta sarà probabilmente meno grave, dato che l’utilizzo di energia per unità di Pil si è ridotto del 50% e che l’offerta russa (pari all’11% del totale mondiale prima della guerra) può essere parzialmente sostituita. Per esempio, l’Arabia Saudita da sola potrebbe aumentare la fornitura di greggio fino a un milione di barili/giorno, il che coprirebbe il 40% dell’offerta russa.
Gas e grano russo più difficili da rimpiazzare
La Russia, prima dell’invasione dell’Ucraina e delle sanzioni dell’Occidente, era anche un importante fornitore di altre materie prime, compreso il 25% del gas e l’11% del grano globali. Queste commodity, rispetto al greggio, sono più difficili da sostituire a breve termine. Il faro è sul gas. L’Europa non è in grado di fare a meno delle forniture russe ed è a un bivio: investire di più nelle rinnovabili, che è un processo che impiega due anni con un’offerta imprevedibile, e/o ritornare a opzioni meno green. Per esempio, riavviare il 70% dei piani a carbone potrebbe sostituire probabilmente il 25% delle forniture russe. C’è poi l’opzione di riaprire gli impianti nucleari, con tutte le ripercussioni in tema di ESG. Un’altra difficile partita è quella della reperibilità del grano perché rimpiazzare quello russo non è semplice. Per esempio, se da un lato l’India potrebbe aumentarne l’export del 70% per compensare il 25% dell’offerta di grano russa, dall’altro, il controllo della qualità diventerebbe probabilmente un problema.
Le implicazioni tra rischi sociali e alta inflazione
Le implicazioni dei prezzi più alti e dei volumi più bassi delle commodity sono molte. Probabilmente, secondo l’esperto di BlueBay, in tutto il mondo aumenteranno i rischi sociali e ci sarà sia una maggiore inflazione sia una maggiore pressione sui deficit fiscali attraverso i sussidi. Paesi come l’Egitto si troveranno di fronte a scelte difficili. L’avanzo fiscale primario e una forte relazione con l'FMI potrebbero aiutare il Paese ad attraversare questa crisi. Tuttavia, un’inflazione elevata (aumento dal 3 al 5% rispetto al target per l'Egitto) e un maggiore deficit fiscale sarebbero inevitabili. In questo contesto, le Banche centrali sono piuttosto limitate nel fornire ulteriori politiche accomodanti ed è quindi probabile che i tassi core continuino a salire per le ulteriori spinte inflative.
A beneficiare saranno soprattutto Medio Oriente e America Latina
Come si collocano le economie emergenti? In primo luogo, il 70% dei Paesi emergenti sono esportatori di materie prime, perciò, grazie al loro apprezzamento un buon numero di questi mercati avrà una forte spinta alle eccedenze delle partite correnti. A livello di macroaree, secondo l’esperto, il Medio Oriente e l’America Latina - che rappresentano la maggior parte dell’asset class - saranno i probabili principali beneficiari. Tuttavia, Kurdyavko non crede alla fine della globalizzazione, anche se pensa che la pandemia prima e la guerra ora potrebbero averne rallentato il ritmo, in particolare, perché la globalizzazione ha riguardato soprattutto manifatturiero e servizi e meno il settore primario. La Russia può essere una delle miniere, dei pozzi o delle fattorie per l’economia globale, ma non è mai stata davvero parte della supply chain manifatturiera globale, dato che ha rappresentato meno del 2% del commercio mondiale. Insomma, le materie prime continueranno a essere spedite in tutto il mondo, come prima.
Come difendere il capitale
Il mix composto da bassa crescita ed elevata inflazione comporta un problema da non sottovalutare per gli investitori. Come possono proteggere il loro capitale? Per l’esperto gli asset reali e gli strumenti ad alto reddito sono la risposta. All’interno del debito dei mercati emergenti in valuta forte, i bond high yield offrono rendimenti a due cifre con una duration relativamente bassa. Si tratta di una buona alternativa per compensare il 7%-10% di inflazione, a patto che i tassi di default rimangano al di sotto delle due cifre, che è quello che in BlueBay si aspettano. Kurdyavko, inoltre, ritiene che i venti di coda dei prezzi elevati delle materie prime e dei tassi più alti forniranno sostegno alle valute dei mercati emergenti e agli asset locali legati all’inflazione.