- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Paesi emergenti: opzione interessante per gli investitori
I Paesi emergenti, che coprono la metà del PIL mondiale e due terzi della crescita globale, in vista del nuovo anno rappresentano un’opzione interessante per gli investitori. Il loro debito, più consolidato grazie al rincaro delle materie prime, offre un rendimento superiore al 10 per cento.
La presenza dei mercati emergenti (EM) nei portafogli istituzionali è sempre stata giustificata, e lo è ancora di più oggi – soprattutto con l’obbligazionario – grazie a un quadro di fondo decisamente migliorato. Infatti, sostiene Polina Kurdyavko, head of emerging markets, senior portfolio manager EM di BlueBay, anche nell’attuale difficile momento, questi mercati rappresentano la metà del PIL mondiale e due terzi della crescita globale, e il debito dei Paesi emergenti più consolidati, anche se denominato in dollari, offre un rendimento superiore al 10%. Anche se questa è una performance che non si vedeva dai primi anni 2000, l’asset non è privo di rischi, che si nascondono nella guerra in Ucraina (che potrebbe finire), nell’offerta di gas (che potrebbe normalizzarsi) e nell’eventuale correzione dei prezzi delle commodity.
Il boom delle materie prime e le partite correnti
Intanto, grazie al vertiginoso rincaro delle materie prime, i Paesi emergenti hanno migliorato i saldi delle partite correnti. Ci sono Paesi che hanno già saldi positivi (come l’Arabia Saudita, passata da un surplus del 5% al 15%) e altri che da un deficit del 3%-4% lo hanno ridotto all’1% (come alcuni Paesi dell’America Latina). Questo, evidenzia Kurdyavko, è un significativo segnale della minore vulnerabilità delle economie di queste nazioni, ancor più che negli anni ’80 e nei primi anni 2000. Altro aspetto positivo che riguarda gli EM è la riduzione dell’inflazione vista in molte realtà dell’America Latina. Le misure preventive delle Banche Centrali, unite alle dinamiche delle partite correnti, hanno fatto sì che le loro valute fossero relativamente stabili: è un altro motivo per cui gli emergenti sono oggi ben posizionati.
La transizione, molto meno dipendenti dal debito in dollari
Il mercato fixed income degli emergenti vale circa 23mila miliardi di dollari, di cui solo 4mila denominati nella valuta Usa. Il resto è in valuta locale. È una transizione rilevante, avvenuta negli ultimi 20 anni, che – dice il gestore - merita l’attenzione degli istituzionali. Man mano che la politica monetaria diventa più ortodossa e la fiducia nei policymaker aumenta, questo tipo di investitori (fondi pensione, banche e assicurazioni) sono più disposti a finanziare il deficit fiscale quando si tratta di bilanci sovrani o private. Questo fornisce ulteriore stabilità in anni come il 2022, in cui le emissioni sovrane e societarie in dollari si sono dimezzate. La maggior parte degli emergenti con mercati interni ben consolidati è tornata a utilizzarli, riducendo così la loro esposizione alla dipendenza dai mercati esterni.
Elevata fiducia sulle valute EM nel medio-lungo termine
A corroborare la buona posizione dei Paesi emergenti è anche la prospettata fine della loro corsa alla svalutazione monetaria. Lo sostiene Kurdyavko, notando che la forte dinamica delle partite correnti sostiene infatti le valute locali, che finora hanno sovraperformato quelle dei Paesi sviluppati, come l’euro o la sterlina. Alla fine, quando l’incertezza si ridurrà e la Fed smetterà di alzare i tassi, secondo il gestore le valutazioni delle valute emergenti saranno convincenti. C’è infatti anche da considerare la differenza tra i rendimenti reali degli emergenti e quelli dei mercati sviluppati: oggi è pari a circa il 5%, livello più alto mai raggiunto. Pur non nascondendo che la volatilità delle valute emergenti rimarrà elevata nei periodi di incertezza, su un orizzonte di 5-10 anni, Kurdyavko ha un’elevata fiducia nel fatto che la valuta locale supererà la performance complessiva della valuta forte, grazie alla fine della corsa del dollaro Usa.