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Tassi: la volatilità continuerà, recessione Usa lieve
Volatilità nel reddito fisso, in attesa di capire come sarà la frenata dell’economia Usa. Per gli investitori potrebbe esserci comunque un'opportunità di sfruttare l'inasprimento della curva dei rendimenti nel segmento da 5 a 30 anni dei Treasury. Cautela nell'aggiungere duration ai portafogli.
All’orizzonte non s’intravedono gravi scossoni per l’economia statunitense, che sta invece resistendo molto bene alla politica monetaria sempre più restrittiva e alle recenti turbolenze del sistema bancario. Non è però escluso che il mercato dei tassi possa prezzare un crollo nel corso dell’anno e, in questo caso, negli Usa ci sarebbe una profonda recessione con la Federal Reserve che reagirebbe tagliando i tassi prima della fine del 2023. Ma questo scenario, come accennato, non è al momento immaginabile. Ne è convinto Andrew McCormick, head of global fixed income e chief investment officer fixed income di T. Rowe Price, il quale prevede che il rallentamento economico sarà relativamente lieve. E, in questo caso, la Fed rimarrebbe ferma fino a dicembre, con un’inflazione sempre ben sopra il target del 2%.
L’indice MOVE ai massimi dalla crisi globale
La situazione, su questo fronte, è comunque estremamente fluida poiché, a un nuovo aumento dei dati sull’inflazione, potrebbe seguire un’ulteriore stretta monetaria. Nel sistema, d’altronde, c’è ancora molta liquidità e la domanda di prestiti è stata bassa e in calo. Tuttavia, le condizioni di credito si stanno restringendo. Se la richiesta di prestiti iniziasse a salire, le condizioni di credito più rigide potrebbero limitare l’accesso delle imprese ai finanziamenti e portare a una modesta recessione. A marzo, ricorda l’esperto, l’ICE BofA MOVE Index, che misura la volatilità implicita nei rendimenti dei Treasury statunitensi, ha raggiunto il livello più alto dalla crisi finanziaria globale, superando addirittura l’alto livello che era stato raggiunto all’inizio della pandemia nel 2020.
Più tempo perché l’inclinazione della curva torni normale
Allo stesso tempo la curva dei rendimenti è diventata d’improvviso meno invertita, con la differenza tra i rendimenti dei Treasury a 2 e 10 anni passata da -106 punti base all'inizio di marzo a -39 punti a fine mese. Appare evidente, sostiene McCormick, che gli operatori stavano rapidamente correggendo le stime sull’entità della recessione e sui suoi effetti sulla politica della Fed. Sebbene l’indice si sia nel frattempo moderato, è probabile che il livello dei tassi e la forma della curva dei rendimenti rimangano volatili mentre questo processo continua. Potrebbero essere necessari anche 12 mesi prima che l’inversione della curva dei Treasury si dissolva, riportando la curva a un’inclinazione più naturale in cui i tassi a breve termine sono più bassi rispetto ai rendimenti delle scadenze più lunghe.
Opportunità, ma anche cautela nell’aggiungere duration
Un investitore come deve comportarsi alla luce di questo scenario alquanto volatile? C’è modo di cogliere un’opportunità nell’inasprimento della curva dei rendimenti? McCormick consiglia cautela nell’aggiungere duration, in quanto gran parte dei benefici a breve termine della duration sono già stati prezzati nel mercato dei tassi, grazie alle aspettative di una profonda recessione. Tuttavia, aggiunge, posizionarsi per un irripidimento del segmento da 5 a 30 anni della curva dei Treasury statunitensi rappresenta un’opportunità interessante, dato che il tasso dei Fed Funds raggiunge il punto più alto di questo ciclo. L’esperto, inoltre, suggerisce una certa esposizione alla duration nei loro portafogli perché crede che la storica correlazione negativa tra obbligazioni e azioni tornerà nel corso di quest’anno.
Sarebbe un sollievo per gli investitori rimasti delusi per tutto il 2022 dalla correlazione positiva tra le asset class, quando sia il fixed income sia le azioni hanno subito un forte calo a causa dell’elevata inflazione e del rapido inasprimento della Fed. Anche se la correlazione negativa potrebbe non essere così forte come in passato, dovrebbe – secondo McCormick - contribuire a rafforzare la convenienza di mantenere un’allocazione fixed income in un portafoglio diversificato.